I 28 anni di Internet dunque. Il 12 marzo 1989 lo scienziato britannico Tim Berners-Lee distribuì un documento ai suoi colleghi del CERN intitolato "La Gestione delle Informazioni: Una Proposta" relativo ad un problema pratico della sua organizzazione: il CERN già allora disponeva di grandi quantità di preziose informazioni memorizzate ovunque (quelli che oggi chiamiamo Big Data).
Tim Berners-Lee affermava che sarebbe stato molto più facile recuperare queste informazioni se fossero state tutte collegate tra loro in modo da essere accessibili da qualsiasi computer. Così raccomandò la creazione di un sistema ipertestuale in rete per gestire la mole di dati disponibile.
Era nata Internet, almeno concettualmente, e la crescita sarebbe stata impetuosa come tutti sappiamo.
Evidenzio questo aspetto: Internet era nata come 'strumento' per condividere 'dati' ovvero conoscenze. Un mezzo dunque implicitamente adatto per l'accesso 'democratico' all'informazione, con la possibilità garantita a chiunque di acquisire la conoscenza che cerca (ecco dunque che l'accesso a internet è sempre limitato o interdetto nei regimi non democratici).
Questo in teoria, ma la realtà delle cose non è mai semplice.
Trascurando il digital divide (ovvero la possibilità dell'individuo all'accesso effettivo alle tecnologie dell'informazione, senza limitazioni tecnologiche e/o di altro genere) rimane molto forte il problema della qualità delle fonti d'informazione controbilanciato, in una certa misura, dalla pluralità delle fonti stesse. Proprio la diversità delle fonti disponibili permetterebbe all'individuo di maturare una conoscenza (e un'opinione) libera dai condizionamenti esterni, filtrando il pescato dal mare di informazioni.
Pensate a Wikipedia, l'enciclopedia libera, una fantastica raccolta di documenti ipertestuali i cui contenuti sono sviluppati e aggiornati dagli utenti stessi e memorizzati in database accessibili a tutti. Proprio questa pluralità di editor garantisce, o garantirebbe, una certa imparzialità del contenuto informativo.
Evidenzio questo aspetto: Internet era nata come 'strumento' per condividere 'dati' ovvero conoscenze. Un mezzo dunque implicitamente adatto per l'accesso 'democratico' all'informazione, con la possibilità garantita a chiunque di acquisire la conoscenza che cerca (ecco dunque che l'accesso a internet è sempre limitato o interdetto nei regimi non democratici).
Questo in teoria, ma la realtà delle cose non è mai semplice.
Trascurando il digital divide (ovvero la possibilità dell'individuo all'accesso effettivo alle tecnologie dell'informazione, senza limitazioni tecnologiche e/o di altro genere) rimane molto forte il problema della qualità delle fonti d'informazione controbilanciato, in una certa misura, dalla pluralità delle fonti stesse. Proprio la diversità delle fonti disponibili permetterebbe all'individuo di maturare una conoscenza (e un'opinione) libera dai condizionamenti esterni, filtrando il pescato dal mare di informazioni.
Pensate a Wikipedia, l'enciclopedia libera, una fantastica raccolta di documenti ipertestuali i cui contenuti sono sviluppati e aggiornati dagli utenti stessi e memorizzati in database accessibili a tutti. Proprio questa pluralità di editor garantisce, o garantirebbe, una certa imparzialità del contenuto informativo.
Poi sono arrivati i social network e tutto è cambiato, in peggio.
Con i social media, facilmente accessibili dai nostri cellulari (curioso: esistono app per Facebook, Twitter, Instagram, ma non per Wikipedia) siamo scesi ad un livello molto più basso: non siamo noi a cercare le informazioni, sono loro che vengono da noi!
E questo, a mio modesto modo di vedere, è un danno: viene meno infatti il 'confronto' e trionfa l'auto-referenzialità.
Sono infatti gli algoritmi di ricerca che presentano nelle nostre 'bacheche' solo le notizie che ci interessano e verso le quali siamo più ricettivi (è una semplice correlazione con i nostri 'like' precedenti). Si creano dunque dei circoli viziosi dove i social network arrivano a NUTRIRE i nostri pregiudizi fornendoci solamente le informazioni che siamo in grado di recepire, o meglio, che abbiamo dimostrato di saper recepire.
Con i social media, facilmente accessibili dai nostri cellulari (curioso: esistono app per Facebook, Twitter, Instagram, ma non per Wikipedia) siamo scesi ad un livello molto più basso: non siamo noi a cercare le informazioni, sono loro che vengono da noi!
E questo, a mio modesto modo di vedere, è un danno: viene meno infatti il 'confronto' e trionfa l'auto-referenzialità.
Sono infatti gli algoritmi di ricerca che presentano nelle nostre 'bacheche' solo le notizie che ci interessano e verso le quali siamo più ricettivi (è una semplice correlazione con i nostri 'like' precedenti). Si creano dunque dei circoli viziosi dove i social network arrivano a NUTRIRE i nostri pregiudizi fornendoci solamente le informazioni che siamo in grado di recepire, o meglio, che abbiamo dimostrato di saper recepire.
Internet, lo strumento capace di fornirci le informazioni dell'intero scibile umano, usato per trasformarci in una tribù globale di beoti.
Un ritorno ad un mondo arcaico fatto di superstizione e di miti, quasi tribale, dove ci muoviamo all'interno di un clan dove accettiamo solo i nostri 'pari', coloro che la pensano come noi, e disprezziamo, diventando 'haters' o 'trolls', tutto il resto del mondo.
Per concludere Internet è stato e continuerà ad essere un formidabile strumento di 'democratizzazione' favorendo la circolazione di nuove idee e di nuovi punti di vista, garantendo a molti l'accesso a informazioni altrimenti non raggiungibili.
Allo stesso tempo questo mezzo di informazione, che per sua natura è mutevole e adattativo, può rappresentare un potente strumento di 'imbarbarimento' che pochi individui o gruppi possono sfruttare per piegare la volontà delle masse.
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